Opera Uno

Zucchero filato

Zucchero Filato, romanzo di Valentina Pellicciaromanzo di Valentina Pelliccia
Schena
Editore

“Ci troviamo di fronte ad un libro in apparenza semplice, chiaro, lineare, tanto che riesce a recuperare la funzione della trama. Però, leggendolo più attentamente, vi si notano delle forme stilistiche complesse. La sua struttura, infatti, ricorda le cadenze tipiche della tragedia classica.
Come modello narrativo ricorda il quarto libro dell’Eneide di Virgilio, in cui l’evolversi dello sfortunato e, soprattutto, impossibile amore di Didone verso Enea è presentato secondo le cadenze tipiche del dramma.
In questo “Zucchero filato” si parte da una condizione tutta rosea vista dagli occhi di un’adolescente che si sta avviando verso la giovinezza con le speranze, i desideri, i sogni da “principe azzurro”, da primo bacio, per avvicinarsi sempre più all’atto finale, al dramma vero e proprio, alla catarsi, che ha un solo terribile nome: “violenza”.
Tale conclusione, che segnerà per sempre il destino di questa ragazza, Colette, pare sempre stare in agguato, pronta a prorompere con tutta la sua forza devastante nel racconto. Ma questo fato, che incombe ineluttabile, non è assolutamente avvertito all’inizio dalla ragazza. E questo è il tipico espediente della tragedia classica. Si pensi ad Edipo, dapprima felice e potente, e poi, a mano a mano che scopre la sua orribile verità, sempre più misero e abbandonato da tutti.
Pur essendo su tutta un’altra dimensione rispetto al mito, dal punto di vista psicologico vi sono delle indubbie analogie. Sino alla fine Colette ignora il suo destino, non può che ignorarlo; nonostante vi siano dei preannunci, questi ultimi vengono colti da chi legge,dallo spettatore (dal coro anticamente). E cosa di più tragico che ignorare sino alla fine il proprio destino?
La violenza viene rimandata a un momento all’apparenza senza pericolo; ma l’appuntamento finalmente con Alberto, la gioiosa fretta nell’arrivare, farà prendere alla ragazza la scorciatoia sbagliata attraverso una via semi oscura e non frequentata, ove avverrà il fattaccio. Quella che doveva essere l’apoteosi si trasforma nell’inferno. Ne deriva una descrizione quanto mai lancinante come una lama che penetra. Soltanto alla fine si compie la purificazione, la catarsi della tragedia, col risveglio dal torpore mortale grazie ad Alberto, al suo ragazzo che le ritorna vicino.
Sono i motivi per cui questo romanzo riesce a pervenire al simplex et unum oraziano (Ars poet,23), condizione ancora valida per stabilire quanto un’opera risponda a canoni di compattezza.
“Zucchero filato” lo dimostra, nonostante ci troviamo di fronte a una scrittura di una ragazza di diciotto anni. Quando io noto una scrittura giovanile la considero un buon segno di successiva maturazione: è un punto di partenza. Gli anni stessi ti porteranno a non essere più “audax iuventa”, ovvero “giovinezza ardimentosa” nel campo delle lettere, secondo la definizione usata da Virgilio. Acquisterai invece sempre più quella capacità di scrittura che viene data dalla meditazione, dalle pause, però occorre che ci sia questo passaggio.
Penso di essere stato abbastanza esauriente nell’avere spiegato i motivi che hanno convinto la commissione a ritenere Valentina Pelliccia vincitrice della settima edizione del Premio nazionale di narrativa “Valerio Gentile” con il suo romanzo “Zucchero filato”.”

(Prof. Pietro Magno)

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