Opera Uno

Intervista con Valentina Pelliccia

valentina-pelliccia_01Valentina Pelliccia risponde ad alcune domande sulla sua attività letteraria.

Come e quando è nata la sua passione per la scrittura?
È passato talmente tanto tempo che non ricordo con precisione. Mi sembra quasi che sia nata con me. Ho iniziato scrivendo poesie, pensieri in prosa. A scuola i compagni di classe disegnavano pupazzi sui diari, io invece annotavo frasi e poesie. Era incomprensibile per loro. Per me invece è sempre stata una necessità, l’unico modo vitale per esprimere quello che ho dentro, la mia vera essenza, le mie emozioni, le mie lacrime e i miei sorrisi.

Cosa la stimola a scrivere?
Posso quasi affermare che la scrittura sia il mio elemento caratterizzante, io scrivo quello che sono, scrivo quello che penso e che sento, senza la paura di essere giudicata o non capita. È un mezzo di espressione fondamentale che è nato in me per caso e che poi è andato via via maturando. Da semplice passione, la scrittura, è diventata consapevolezza.

Come ha vissuto le sue prime esperienze di scrittrice?
A scuola ho cominciato ad appassionarmi di letteratura (latina, italiana, inglese, francese), di filosofia. Rimanevo incantata quando, durante le lezioni, la professoressa leggeva e spiegava poesie, parlava della vita degli scrittori. Tutto questo credo abbia fortificato e fatto maturare il bisogno di scrivere. Partecipavo ad incontri con i vari Autori, al di fuori della scuola, li andavo a conoscere , ponevo loro domande e portavo le mie poesie. Molto formativo è stato per me incontrare scrittori come Dacia Maraini, Susanna Tamaro e Marco Lodoli. Ho partecipato a numerosi concorsi di poesie, alcune di queste sono state pubblicate. Finché, nel 2004, è nato… “Zucchero filato”.

Come è arrivata alla pubblicazione di questo libro?
Nel 2004 ho partecipato con il romanzo “Zucchero filato” alla settima edizione del Premio di Narrativa Nazionale “Valerio Gentile”, intitolato alla memoria di un ragazzo morto tragicamente che, nonostante la giovane età, aveva dato già prova di notevoli doti letterarie. L’opera è stata classificata al primo posto ed è stata pubblicata. Avevo sempre scritto solo poesie e questo è stato il mio primo romanzo. Ricordo ancora il periodo: era Giugno ed io dovevo preparare l’esame di maturità. Una volta completato, mia madre, dopo averlo letto, non voleva assolutamente che lo inviassi. Lo riteneva troppo “forte”, crudo in molte parti. Non le piaceva proprio. A mio padre, invece, piacque, e fu lui ad aiutarmi ad inviarlo. Vincere non è stata solo un’enorme soddisfazione per aver realizzato un sogno, ma anche una soddisfazione personale nei confronti di chi non credeva in me! Credo, comunque, che lo avrei mandato lo stesso, nonostante lo scetticismo  dei miei genitori. È  stata un’emozione unica scriverlo. Scrivevo e non riuscivo a fermarmi. E quando sono riuscita a completarlo, è stata come una liberazione: ero riuscita ad esprimere tutto quello che avevo dentro, e sentivo che dovevo partecipare a quel Concorso con quel libro.

Da cosa è stata ispirata la storia raccontata nel libro?
Questo romanzo racchiude, anche se con le varie metafore, le paure e il mondo interiore di un’adolescente.

Si tratta di un romanzo autobiografico?

No, non è assolutamente autobiografico, tuttavia ho espresso giudizi o valutazioni personali nel libro utilizzando la tecnica del “narratore onnisciente”. Il narratore onnisciente è colui che sa tutto della storia, conosce i pensieri e la psicologia dei personaggi. Rimango un po’ infastidita quando mi pongono tale domanda: è come se le persone fossero più curiose della vita privata di un Autore (e a farne del “gossip”) che attente a cogliere ciò che di importante e prezioso è contenuto in un libro.

Come ha strutturato il suo romanzo?
Come è stato già sottolineato dal Prof. Pietro Magno (il critico che ha recensito l’opera), si parte da una condizione rosea, vista dagli occhi di un’adolescente (Colette), che si sta avviando verso la giovinezza con le speranze, i sogni da “principe azzurro”, per avvicinarsi poi sempre più all’atto finale, al dramma, alla catarsi, ossia, la violenza. La struttura, è stato detto, ricorda le cadenze tipiche della tragedia classica. Probabilmente, frutto dei miei studi classici. Tuttavia, questo non è stato raggiunto da me  in modo consapevole. Ho semplicemente cercato di raccontare la vita di un’adolescente, il suo modo di vedere le cose in modo “pulito”, puro. Ho cercato di raccontare il suo modo di vivere l’amore, il rapporto con i genitori, con i coetanei, la sua crescita. L’evento traumatico che si trova a subire appare ancora più “crudo” e forte di quanto lo sia già, forse proprio perché interviene interrompendo questo clima di calma apparente, di gioia fanciullesca, di spensieratezza.

Con questo racconto intende lanciare un messaggio ai lettori? Quale?
La mia intenzione è stata quella di trasmettere un messaggio di speranza. Colette è una bambina, una piccola donna di quattordici anni. Il suo è un mondo ovattato, protetto. Improvvisamente cresce, si trova a dover affrontare da sola la vita. E proprio quando si presta a vivere la sua prima vera libertà, qualcuno la violenta, contaminando la sua anima, la sua purezza e infrangendo così i suoi sogni. Colette rimarrà immobile (nel vero senso della parola), e così rimarrà per giorni, mesi interi.
Non riuscirà a parlare, subirà la vita. Subirà. Ancora una volta. Tuttavia, proprio questa condizione di distruzione, di “immobilità totale”, di non-vita, di suicidio interiore, è il passaggio fondamentale per ritrovare  il coraggio di andare avanti. Colette riesce, grazie alla sua forza interiore, grazie all’appoggio dei genitori, grazie all’amore, a riprendere in mano la sua vita. È  un racconto che fa capire quanto sia importante essere forti per se stessi e gli altri. “Anche nel buio totale dobbiamo cercare un piccolo fascio di luce che ci illumini e ci dia speranza”.

A chi ne consiglia la lettura? Perché?
È  un romanzo molto semplice ma che affronta tematiche di una certa rilevanza e importanza.
Consiglio la lettura a tutti, giovani e adulti. Credo sia un libro in grado di far riflettere. Credo faccia riflettere sull’importanza di avere accanto una famiglia, punto di riferimento fondamentale per ogni ragazzo. Credo faccia riflettere anche sull’importanza dell’amicizia, dell’amore.

Può definire “Zucchero filato” con tre aggettivi che ne rispecchino l’essenza?
È  un libro semplice, di facile lettura, ma, per la sua struttura, complesso. Credo sia anche formativo, in quanto affronta la tematica della crescita. Un ultimo aggettivo che mi viene in mente, è “intenso”. Sì, perché è un libro carico di vita. Di Purezza come di Distruzione, di Amore come di Violenza, di Vita come di Non-Vita.

Ha in programma altre pubblicazioni?
Sì, ma per il momento non vorrei svelare nulla.

Cosa si aspetta dal suo futuro di scrittrice? Ha sogni nel cassetto?
Mi auguro di poter trovare altre ispirazioni per i miei romanzi e di essere in grado di trasmettere messaggi importanti ed emozioni a chi mi legge. Tra i sogni nel cassetto, c’è quello di poter partecipare ad altri Concorsi e magari vincere per pubblicare altri libri.

2 Risposte to "Intervista con Valentina Pelliccia"

molto interessante e complimenti x il libro, sembra avere magnetismo! l’avvocato del gemelli 😉

Lascia un commento

Inserisci qui sotto il tuo indirizzo di posta elettronica per ricevere le notifiche sugli aggiornamenti del sito.

Alcuni amici di Opera Uno

Questo sito fa uso di cookie

Questo sito, come tutti quelli ospitati sulla piattaforma WordPress.com, utilizza cookie per garantirvi una migliore esperienza di navigazione. Potete rifiutare l'uso dei cookie cambiando alcune impostazioni del vostro browser. Per maggiori informazioni consultate la pagina Privacy.